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Vittorio Emanuele III di Savoia: il sovrano che attraversò guerre, crolli e trasformazioni di un secolo inquieto

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di Redazione

26/11/2025

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Raccontare Vittorio Emanuele III di Savoia significa confrontarsi con una figura complessa, stratificata, capace di incarnare allo stesso tempo continuità dinastica, prudenza istituzionale e, in più momenti, un’incertezza politica che avrebbe segnato profondamente il destino del Paese. Il suo regno attraversò una stagione tumultuosa della storia europea: l’età delle alleanze, la Prima guerra mondiale, l’avvento dei fascismi, il crollo dello Stato liberale, la tragedia del secondo conflitto mondiale e infine l’implosione della monarchia italiana. La sua presenza sembra quasi scorrere come un filo sottile all’interno di un tessuto che mutava con una rapidità difficile da governare, lasciando aperti interrogativi che ancora oggi stimolano riflessioni storiografiche e giudizi articolati.

La figura di questo sovrano, spesso ricordato per la sua statura minuta e l’apparente riservatezza caratteriale, racchiude invece un’energia silenziosa che si esprimeva nella meticolosità con cui affrontava ogni dossier, nella predilezione per l’analisi, nella costante attenzione ai dettagli militari e finanziari. Non era un monarca incline ai proclami, preferendo il lavoro scrupoloso al clamore pubblico, ma proprio questo suo modo di intendere il ruolo avrebbe finito per diventare parte del dibattito sul suo operato, soprattutto negli anni in cui la monarchia si trovò stretta tra la propria storia e le derive della politica italiana.

L’ombra lunga della monarchia costituzionale

Quando Vittorio Emanuele III salì al trono, nel 1900, l’Italia era ancora un Paese giovane, attraversato da tensioni sociali, contraddizioni economiche e un bisogno di stabilità che non riusciva a trovare un equilibrio definitivo. Il sistema politico liberale era caratterizzato da una crescente frammentazione e da una classe dirigente che spesso faticava a interpretare la complessità delle trasformazioni in corso. In questo contesto, il nuovo re manifestò immediatamente un senso del dovere rigoroso, mosso dal desiderio di interpretare la monarchia come forza moderatrice, più attenta alla tenuta delle istituzioni che al protagonismo personale.

La sua formazione, improntata alla disciplina militare e a una visione severa delle responsabilità sovrane, lo portava a considerare la funzione di arbitro politico come un compito quasi matematico, basato sul bilanciamento dei poteri e sulla ricerca di soluzioni che garantissero la continuità dello Stato. Questo approccio, tuttavia, mostrava una fragilità evidente nel momento in cui il sistema liberale iniziò a incrinarsi, perché affidava alla prudenza un peso che, negli anni successivi, sarebbe stato travolto da eventi più rapidi e aggressivi della politica stessa.

Un sovrano tra eserciti, alleanze e il peso della Grande Guerra

L’interesse quasi ossessivo di Vittorio Emanuele III per il mondo militare non era un tratto folcloristico, ma la conseguenza di una visione che individuava nell’esercito una delle poche strutture in grado di garantire coesione nazionale. La Prima guerra mondiale rappresentò per lui un’esperienza totalizzante, vissuta con un coinvolgimento che superava quello formale del capo delle forze armate. Era presente al fronte, seguiva gli spostamenti delle truppe, annotava dati, cifre, rapporti; non mancava di partecipare a momenti cruciali, diventando per molti militari un punto di riferimento simbolico.

Il conflitto, pur condotto con determinazione, lasciò sul Paese un segno profondo: un senso di vittoria fragile, una società stremata, una massa di reduci in cerca di risposte e un’instabilità economica che rendeva difficile la gestione del dopoguerra. Il re comprese con lucidità la gravità del momento, ma il suo modo di affrontare la crisi si infranse contro una realtà politica che stava prendendo una direzione sempre più radicale.

Gli anni del fascismo e il ruolo della Corona

Il nodo più discusso del regno di Vittorio Emanuele III rimane senza dubbio il suo comportamento nel momento dell’ascesa del fascismo. L’incapacità del sistema liberale di contenere la violenza politica, unita alla pressione esercitata dalla marcia su Roma e alla debolezza degli ultimi governi, lo portarono a nominare Mussolini presidente del Consiglio. Una decisione spesso interpretata come il punto di svolta che permise al fascismo di consolidarsi, ma che nella lettura del sovrano era probabilmente motivata dalla paura di una frattura interna che potesse degenerare in un conflitto civile o in un’implosione dell’ordine pubblico.

Il successivo atteggiamento della monarchia oscillò tra tentativi di contenere l’irruenza del regime e momenti di adeguamento che, nel tempo, alimentarono un’inevitabile erosione della legittimità della Casa Savoia. Il sovrano, fedele alla sua visione di arbitro imparziale, non comprese fino in fondo che quella logica politica non poteva reggere di fronte a un movimento che puntava a dissolvere ogni forma di equilibrio istituzionale. Le leggi razziali, l’alleanza con la Germania nazista, l'ingresso nella Seconda guerra mondiale segnarono un declino che non avrebbe più potuto essere invertito.

L’ultimo tratto del regno e la fine della monarchia

L’8 settembre 1943 rappresenta uno degli snodi più drammatici del suo regno. La fuga da Roma, interpretata da molti come un abbandono delle forze armate e delle istituzioni, generò un sentimento di sfiducia che avrebbe pesato enormemente nel referendum del 1946. Non bastò la decisione di abdicare nel tentativo di favorire una transizione più favorevole verso la monarchia: il solco creato da anni di compromessi e silenzio era troppo profondo.

La scelta dell’esilio, trascorso in una condizione quasi contemplativa, rispecchiò un tratto costante della sua personalità: la convinzione che la dignità della Corona dovesse essere preservata anche nella sconfitta, senza contrasti pubblicirivendicazioni. Una scelta che molti interpretarono come tardiva e altri come coerente con la sua indole.

Un lascito complesso, ancora oggi oggetto di dibattito

Vittorio Emanuele III non è una figura che si possa riassumere con giudizi semplicistici. Il suo operato contiene elementi di rigore, dedizione e senso dello Stato, ma anche esitazioni e errori che ebbero conseguenze pesanti. Era un sovrano di formazione ottocentesca chiamato a governare un mondo che stava entrando con forza nell’età delle masse, dei totalitarismi e della comunicazione politica di massa. Le sue virtù, calibrate su un’epoca di equilibri istituzionali, non riuscirono a tradursi in efficacia quando il Paese avrebbe avuto bisogno di un sovrano capace di agire con decisione e tempestività.

Il suo regno resta, per gli studiosi e per chi si avvicina alla storia italiana con spirito critico, un terreno fertile di interpretazioni, nel quale si intrecciano la fragilità della politica, la forza degli eventi e la complessità del ruolo monarchico in un secolo che non lasciava spazio a mezze misure. La sua figura continua a suscitare analisi proprio perché incarna, nel bene e nel male, la difficoltà di governare un Paese in trasformazione mentre il mondo intero cambiava direzione.

Redazione

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