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Quando l’università si scopre parte della comunità: la svolta di APEnet a Napoli

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di Redazione

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A volte la domanda fondamentale non riguarda ciò che l’università produce, ma ciò che restituisce. Nel corso dell’incontro annuale di APEnet, ospitato dalla Federico II di Napoli, questa riflessione ha assunto la forma di un confronto collettivo che ha intrecciato visioni, esperienze e responsabilità. Al centro, un’idea tanto semplice quanto rivoluzionaria: un ateneo non vive accanto alla società, ma dentro la società.

Una missione che cambia pelle

Fin dall’apertura, le parole del rettore Matteo Lorito hanno evocato un’immagine potente: il Public Engagement come finestra attraverso la quale le università scorgono il proprio futuro. Un futuro in cui la ricerca non è un bene da custodire nei laboratori, ma una forza capace di generare sviluppo economico, coesione, identità. La sola città di Napoli, ha ricordato Lorito, beneficia di un impatto di 2,1 miliardi grazie al sistema universitario: un dato che rende chiaro quanto la presenza di un ateneo sia al tempo stesso un motore e un presidio.

L’intervento di Pier Andrea Serra ha spinto ancora più avanti il ragionamento: l’università deve diventare spazio di ascolto, di co-creazione, di partecipazione. Non un luogo che “trasmette” sapere, ma un luogo che apprende dal territorio e dalla comunità. L’esperienza di Claudio Pettinari dopo il terremoto del 2016 ha tradotto queste parole in una testimonianza concreta: un ateneo che non si limita a riparare edifici, ma ricostruisce fiducia, relazioni e senso di appartenenza.

La governance che cambia: carriere, valutazione e una rete che cresce

Il momento forse più atteso è arrivato con l’intervento di Stefano Corgnati, che a nome della CRUI ha aperto un nuovo scenario: riconoscere ufficialmente l’impegno nel Public Engagement nei percorsi di carriera di docenti e ricercatori. Un passaggio che risponde al desiderio espresso con forza dalle nuove generazioni accademiche, sempre più coinvolte in attività che intrecciano ricerca, cultura e responsabilità pubblica.

Accanto agli atenei, gli enti pubblici di ricerca hanno portato in APEnet un valore spesso sottovalutato: la loro presenza diffusa sul territorio, capace di trasformare il PE in un’attività quotidiana, vicina ai cittadini, alle scuole, alle associazioni.

La seconda giornata ha mostrato l’altra faccia della medaglia: i progetti del PNRR, raccontati attraverso i casi MUSA, Restart ed EcosistER, hanno evidenziato la forza e la fragilità del Public Engagement. Forte quando permette al sapere accademico di incontrare bisogni reali; fragile quando i tempi dei bandi e i vincoli burocratici rischiano di incrinare la fiducia costruita nei territori.

Ciò che emerge, alla fine, è una visione condivisa: il Public Engagement non è un dovere aggiuntivo per l’università, ma un modo di abitare il proprio tempo. Una pratica che chiede istituzioni capaci di ascoltare e comunità pronte a partecipare, perché solo da questa reciprocità nasce un patto credibile tra ricerca e società.

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