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Franco Reviglio, economista, riformatore e uomo di Stato: l’eredità di un servitore pubblico

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di Redazione

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Tra i protagonisti più lucidi della vita economica italiana del secondo dopoguerra, Franco Reviglio ha lasciato un’impronta profonda nella pubblica amministrazione, nell’università e nell’impresa. La sua carriera, lunga e articolata, è attraversata da un principio costante: la convinzione che il sapere economico, se messo al servizio del bene collettivo, possa migliorare la vita di un Paese.


Il rigore delle idee, la forza delle riforme

Nominato Ministro delle Finanze nel 1979, Reviglio introduce un cambio di prospettiva radicale nel rapporto tra cittadini e fisco. È lui a rendere obbligatorio lo scontrino fiscale, a creare strumenti di controllo moderni e a istituire organismi tecnici come il SECIT, destinati a migliorare la trasparenza e l’efficacia dell’amministrazione finanziaria.
Propone le “manette agli evasori”, istituisce i centri di servizio e avvia le prime analisi sistematiche sul patrimonio e sui monopoli di Stato, anticipando un metodo di studio e di intervento che resterà un punto di riferimento per decenni.

Il suo approccio, lontano da ogni populismo, si fonda su una visione laica e razionale dello Stato: far pagare tutti per far pagare meno, e rendere il fisco strumento di equità e non di oppressione.


Dall’ENI alle aule universitarie

Quando nel 1983 assume la presidenza dell’ENI, il gruppo è in perdita e dipendente dalle casse pubbliche. In sette anni Reviglio ne cambia la rotta, restituendogli equilibrio economico e credibilità internazionale.
Nel 1992 torna al governo come Ministro del Bilancio, in uno dei momenti più difficili per la finanza pubblica italiana, affrontando con coraggio decisioni impopolari ma decisive per la stabilità del Paese.

Accanto all’attività politica, il suo contributo accademico rimane esemplare. Professore ordinario di Scienza delle Finanze, poi emerito, ha formato generazioni di studiosi con un insegnamento che univa analisi, etica e concretezza. Nei suoi libri e nelle sue lezioni riecheggiava una lezione essenziale: l’economia pubblica non è mai un esercizio astratto, ma il luogo in cui si misura il patto di fiducia tra Stato e cittadini.

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